29 gennaio 2012

CODICE IDENTIFICATIVO DI GARA (CIG)

Sulla tracciabilità dei flussi finanziari e la necessità di acquisire il codice CIG di seguito si riporta uno stralcio delle FAQ pubblicate sul sito dell’AVCP aggiornate  al 23 novembre 2011. FAQ Tracciabilità - Documento formato .pdf 280kb
A5. Che cosa è il codice CIG?
Il codice CIG (codice identificativo di gara) è un codice alfanumerico generato dal sistema SIMOG della AVCP con tre funzioni principali:
  • una prima funzione è collegata agli obblighi di comunicazione delle informazioni all’Osservatorio, di cui all’art. 7 del Codice dei contratti e successive deliberazioni dell’Autorità, per consentire l’identificazione univoca delle gare, dei loro lotti e dei contratti;
  • una seconda funzione è legata al sistema di contribuzione posto a carico dei soggetti pubblici e privati sottoposti alla vigilanza dell’Autorità, derivante dal sistema di finanziamento dettato dall’articolo 1, comma 67, della legge 266/2005, richiamato dall’articolo 8, comma 12, del Codice;
  • una terza funzione è attribuita dalla legge n. 136/2010 che affida al codice CIG il compito di individuare univocamente (tracciare) le movimentazioni finanziarie degli affidamenti di lavori, servizi o forniture, indipendentemente dalla procedura di scelta del contraente adottata, e dall’importo dell’affidamento stesso.
A6. Come si acquisisce il codice CIG?
Il CIG è richiesto a cura del responsabile del procedimento (RUP) prima della procedura alla individuazione del contraente (vedi comunicato del Presidente dell’Avcp del 7 settembre 2010). Il responsabile del procedimento, accreditato tramite il portale dell’Autorità all'indirizzo www.avcp.it, effettua la registrazione attraverso il Sistema Informativo di Monitoraggio delle Gare (SIMOG), disponibile nell’area “Servizi” del sito dell'Autorità. Il SIMOG attribuisce al nuovo affidamento il numero identificativo univoco denominato “Numero gara” e, a ciascun lotto della gara, il codice identificativo CIG.
A7. Quali sono le tipologie del codice CIG?
Il codice CIG è unico (per ciascun appalto o lotto) e assume in base al suo utilizzo, in casi particolari, diverse denominazioni. Si tratta di:
  1. CIG Semplificato (detto anche Smart CIG), emesso anche in carnet (vedi faq A8 e faq A9);
  2. CIG Derivato (vedi faq A10);
  3. CIG Master (vedi faq A11).
A8. Che cosa è il CIG Semplificato, detto anche Smart CIG?
È il codice CIG che si acquisisce, ai soli fini della tracciabilità, con l’immissione di un numero ridotto di informazioni (vedi Comunicato del Presidente del 2 maggio 2011), esclusivamente per le seguenti fattispecie contrattuali:
a) contratti di lavori di importo inferiore a € 40.000, contratti di servizi e forniture di importo inferiore a € 40.000, affidati ai sensi dell’art. 125 del Codice o mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando;
b) contratti di cui agli articoli 16, 17 e 18 del Codice, indipendentemente dall’importo;
c) altri contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice fino ad un importo di € 150.000;
d) contratti affidati direttamente da un ente aggiudicatore o da un concessionario di lavori pubblici ad imprese collegate, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 218 e 149 del Codice.
A9. Che cosa è il Carnet di CIG?
La procedura di acquisizione dei CIG Semplificati (detti anche Smart CIG) dà la possibilità di richiedere gruppi di CIG in carnet rinviando l’immissione dei dati degli affidamenti ad un tempo successivo. Ogni carnet contiene 50 CIG che la stazione appaltante può utilizzare immediatamente, fermo restando l’obbligo di comunicare tutte le informazioni a corredo di ciascun CIG entro e nonoltre 30 giorni dalla data di scadenza del carnet. La scadenza del carnet è fissata in 90 giorni dalla data del rilascio. Possono essere richiesti fino a due carnet di CIG con validità limitata nel tempo. La trasmissione dei dati richiesti per ciascun CIG è condizione necessaria per il rilascio di nuovi carnet.
A10. Che cosa è il CIG Derivato?
È il codice CIG che l’Amministrazione richiede per identificare i singoli contratti stipulati a valle di accordi quadro, di convenzioni ai sensi dell’articolo 26 della legge n. 488/1999 e di altre convezioni similari. Vedi anche faq A27.
A11. Che cosa è il CIG Master?
In caso di procedura di gara che comprenda una molteplicità di lotti, la stazione appaltante richiede un CIG per ciascun lotto. Il sistema SIMOG consente al RUP, a valle dell’aggiudicazione dei diversi lotti ad un medesimo operatore (con il quale la stazione appaltante stipulerà un contratto unico), di eleggere a CIG Master uno dei CIG acquisiti relativamente ai ciascun lotto. Il CIG master può essere utilizzato per i pagamenti relativi a tutti i lotti, ferma restando la necessità di riportare nel contratto l’elenco completo di tutti i codici CIG relativi ai lotti affidati (vedi faq A33).

A12. Quali sono le fattispecie per le quali non sussiste l’obbligo di richiedere il codice CIG ai fini della tracciabilità?
Sono escluse dall'obbligo di richiesta del codice CIG ai fini della tracciabilità le seguenti fattispecie:
  • i contratti aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni (articolo 19, comma 1, lett. a, prima parte, del Codice), (vedi faq C 1);
  • i servizi di arbitrato e conciliazione (articolo 19, comma 1, lett. c, del Codice), (vedi faq C 1);
  • i contratti di lavoro conclusi dalle stazioni appaltanti con i propri dipendenti (articolo 19, comma 1, lett. e) del Codice), (vedi faq C 1);
  • i contratti di lavoro temporaneo (legge 24 giugno 1997 n. 196), (vedi faq C 1);
  • gli appalti di cui all’articolo 19, comma 2, del Codice (vedi faq C 1);
  • gli appalti aggiudicati per l'acquisto di acqua e per la fornitura di energia o di combustibili destinati alla produzione di energia, di cui all'articolo 25 del Codice;
  • il trasferimento di fondi da parte delle amministrazioni dello Stato in favore di soggetti pubblici, se relativi alla copertura di costi per le attività istituzionali espletate dall’ente (vedi faq C 2);
  • l’amministrazione diretta ai sensi dell’articolo 125, comma 3 del Codice (vedi faq C 3);
  • gli affidamenti diretti a società in house (vedi faq C 4);
  • i risarcimenti corrisposti dalle imprese assicuratrici appaltatrici ai soggetti terzi, estranei al rapporto contrattuale, danneggiati dalle stazioni appaltanti assicurate (vedi faq C 5);
  • gli indennizzi e i risarcimenti corrisposti a seguito di procedure espropriative, poste in essere da stazioni appaltanti o da enti aggiudicatori (vedi faq C 6);
  • gli incarichi di collaborazione ex articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego), (vedi faq C 7);
  • le spese effettuate dai cassieri, che utilizzano il fondo economale (solo se tali spese non originano da contratti d’appalto);
  • l’erogazione diretta, a titolo individuale, di contributi da parte della pubblica amministrazione a soggetti indigenti o comunque a persone i condizioni di bisogno economico e fragilità personale e sociale, ovvero finalizzati alla realizzazione di progetti educativi (vedi det. 4/2011, par. 4.6);
  • le prestazioni socio-sanitarie in regime di accreditamento (vedi faq D 4);
  • i contratti di associazione che prevedono il pagamento di quote associative (vedi determinazione n. 4/2011, par. 4.11);
  • i contratti relativi a patrocini legali inquadrabili come prestazioni d’opera intellettuale (vedi anche faq D 6);
  • i contratti dell’Autorità giudiziaria non qualificabili come contratti di appalto (vedi faq D 7).

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PARTECIPAZIONE DI IMPRESE CINESI AI PUBBLICI APPALTI


La Repubblica popolare cinese, pur avendo aderito nel 2001 al W.T.O. (Organizzazione mondiale del commercio), non ha, a tutt'oggi, sottoscritto anche l'accordo sugli appalti pubblici, che risulta nell'allegato 4 del citato Accordo istitutivo del W.T.O..
Di conseguenza, non trova applicazione nei riguardi della Cina l’articolo 47, comma 1°, del Codice dei contratti pubblici, il quale consente alle imprese extracomunitarie di partecipare ai pubblici appalti comunitari. Inoltre, le imprese cinesi non possono partecipare ai pubblici appalti, non solo direttamente, ma anche indirettamente, attraverso l’istituto dell’avvalimento.
E’ quanto affermato dalla sentenza del T.A.R. Lazio (sez. I-bis, n. 5896 del 2 luglio 2007), che si palesa importante anche in considerazione della presenza delle imprese cinesi in ambito italiano e comunitario.

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COSTI STANDARDIZZATI PER RIFACIMENTO MANTI BITUMATI


Il documento predisposto dall’AVCP illustra la metodologia seguita per calcolare in modo sperimentale i costi standardizzati relativi al rifacimento del manto delle strade statali e provinciali. La metodologia deve tradursi in una rilevazione sistematica di informazioni necessarie per calcolare i costi standardizzati della tipologia di opere in questione. L’obiettivo consiste nel calcolare un costo standardizzato il più possibile preciso nel rispetto del vincolo di non appesantire in modo eccessivo le stazioni appaltanti con richieste informative.

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VERIFICHE PERIODICHE DELLE ATTREZZATURE


Il Testo Unico sulla Sicurezza, relativamente agli obblighi del datore di lavoro (art. 71 - D. Lgs. 81/2008) recita che questi deve sottoporre le attrezzaturedi lavoro riportate nell'Allegato VII (quali scale, ponti mobili, generatori dicalore, tubazioni, forni per industrie chimiche, etc.) a verifiche periodiche per valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con una certa frequenza.
Tale verifica deve essere effettuata dall'INAIL ex ISPESL che vi provvede nel termine di 60 giorni dalla richiesta.
Decorso tale termine, il datore di lavoro può avvalersi delle ASL e o di soggetti pubblici o privati abilitati. Il Testo Unico per la sicurezza stabilisce, inoltre, che i criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati ad effettuare tali verifiche saranno stabiliti con Decreto del Ministro del Lavoro.
Il Decreto del Ministro del Lavoro dell’11 aprile 2011, quindi in ottemperanza a quanto previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza, definisce modalità, tempistiche, passaggi burocratici e amministrativi per l'accreditamento di soggetti terzi pubblici o privati alla verifica delle attrezzature da lavoro.
Il Decreto del Ministro del Lavoro del 20 gennaio del 2012 proroga l'entrata in vigore del Decreto 11 aprile 2011 di 120 giorni, cioè a fine maggio 2012.

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LINEE GUIDA PER RIPARAZIONE E RAFFORZAMENTO DI ELEMENTI STRUTTURALI


Le Linee guida per riparazione e rafforzamento di elementi strutturali, predisposte dalla Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica (ReLUIS), hanno lo scopo di fornire un supporto alla progettazione degli interventi sulle strutture colpite dal sisma dell’Abruzzo del 6 aprile 2009.
Il documento propone una serie di soluzioni per l’esecuzione di interventi ricadenti nelle seguenti categorie:
- riparazione di elementi non strutturali danneggiati
- riparazione locale di elementi strutturali
-  interventi su tamponature e paramenti esterni non danneggiati volti a prevenire crolli pericolosi per l’incolumità delle persone
-  interventi di rafforzamento locale di singole parti e/o elementi di strutture in cemento armato e muratura, ai sensi dell’art. 8.4.3 del DM 14.01.08 e della relativa Circolare n. 617 del 2 febbraio 2009.

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NUOVI REATI AMBIENTALI

Sono entrate in vigore il 16 agosto 2011 alcune importanti novità in tema di tutela penale dell’ambiente, contenute nel decreto legislativo n. 121 del 7 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’1 agosto 2011.
Il decreto legislativo, in attuazione della direttiva 2009/123/CE (che ha modificato la direttiva 2005/35/CE), modifica il codice penale, introducendo i nuovi reati di “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette” (nuovo articolo 727-bis c.p.) e di “Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto” (nuovo articolo 733-bis c.p.).
Modifiche anche al Testo Unico Ambiente (decreto legislativo 152 del 2006) e alla disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti e delle persone giuridiche (decreto legislativo 231 del 2001).
Introdotto in particolare l’articolo 25-undecies, all’interno del decreto 231 del 2001, recante “Reati ambientali“.

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IL D.LGS. 231/01 E LA RESPONSABILITÀ “AMMINISTRATIVA” DEGLI ENTI

Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, di seguito anche solo Decreto, introduce nell’ordinamento italiano un nuovo regime di “responsabilità” a carico degli enti [1] derivante dalla commissione, o tentata commissione, di determinate fattispecie di reato, nell’interesse o a vantaggio degli enti stessi.
La “responsabilità amministrativa” prevista dal decreto consente di colpire il patrimonio degli enti, e quindi l’interesse economico dei soci, (direttamente tramite sanzioni pecuniarie, o indirettamente tramite, ad es., l’interdizione dall’esercizio dell’attività) che hanno tratto un vantaggio dalla commissione di determinati reati da parte delle persone fisiche che rappresentano l’ente [2] o che operano per l’ente [3].
I reati per i quali l’Ente può essere chiamato a rispondere sono soltanto quelli espressamente indicati dal legislatore, e riguardano i seguenti ambiti:
- reati nei rapporti con la Pubblica Amministrazione [4];
- reati di falso nummario [5];
- reati societari [6];
- reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico [7];
- reati contro la personalità individuale [8];
- reati di abuso di mercato [9];
L'ente è responsabile se il reato è stato commesso a “suo interesse o a suo vantaggio” (D.Lgs. 231/01, art. 5, co. 1); non è pertanto necessario aver conseguito un “vantaggio” concreto, ma è sufficiente che vi fosse “l’interesse” a commettere il reato.
L’Ente tuttavia non risponde se dimostra di aver “adottato ed efficacemente attuato” un modello di organizzazione, gestione e controllo (di seguito anche Modello) (vedi) tale da prevenire la commissione dei reati della stessa fattispecie di quello verificatosi.
Il reato, quindi, deve essere stato commesso aggirando fraudolentemente il Modello stesso.
La valutazione della validità del Modello adottato e della sua efficace attuazione è formulata dal giudice in sede di accertamento penale (ovvero, la prova della solidità del modello si ha solo nel malaugurato caso di procedimento penale per uno dei reati considerati).
Le sanzioni previste dal Decreto a carico degli enti consistono in:
- sanzioni interdittive (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrarre con la pubblica amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi);
- pubblicazione della sentenza di condanna (che può essere disposta in caso di applicazione di una sanzione interdittiva);
- sanzione pecuniaria fino ad un massimo di Euro 1.549.370,69 e sequestro conservativo in sede cautelare (il "tetto" di 1.549.370,69 non si applica per i reati di cui all'art. 25-septies);
- confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato (sequestro conservativo, in sede cautelare).
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[1] D.Lgs. 231/01, art. 1, co. 2: “Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.” e co. 3: “Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
[2] D.Lgs. 231/01, art. 5, co. 1, lett. a): “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
[3] D.Lgs. 231/01, art. 5, co. 1, lett. b): “da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui…” all’art. 5, co. 1, lett. a).

[4] D.Lgs. 231/01, artt. 24 e 25 (corruzione per un atto d’ufficio o per un atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari, istigazione alla corruzione, concussione, malversazione a danno dello Stato o di altro ente pubblico, indebita percezione di contributi, finanziamenti o altre erogazioni da parte dello Stato o di altro ente pubblico o delle Comunità europee, truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico o delle Comunità europee, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico).

[5] D.Lgs. 231/01, art. 25-bis (falsità in monete, in carte di pubblico credito ed in valori di bollo).

[6] D.Lgs. 231/01, art. 25-ter (false comunicazioni sociali, false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, falso in prospetto, falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione, impedito controllo, formazione fittizia del capitale, indebita restituzione di conferimenti, illegale ripartizione degli utili e delle riserve, illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, operazioni in pregiudizio dei creditori, indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, illecita influenza sull’assemblea, aggiotaggio, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza).
[7] D.Lgs. 231/01, art. 25-quarter.

[8] D.Lgs. 231/01, artt. 25-quarter-1 e 25-quinquies (pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione, tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi - commessi anche all’estero -, pedopornografia virtuale).

[9] D.Lgs. 231/01, art. 25-sexies (abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato).
[10] D.Lgs. 231/01, art. 25-septies (Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro).
[11] D.Lgs. 231/01, art. 25-octies (Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita).
[12] L. 146/2006, art. 3: “Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.”.

[13] L. 146/2006, art. 10 e s.m.i. (associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere –anche finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri o al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope-, induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, favoreggiamento personale, traffico di migranti).

[14] D.Lgs. 231/01, art. 24-bis (delitti informatici e trattamento illecito di dati).

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PROTOCOLLO DI LEGALITÀ E INFORMATIVE ANTIMAFIA

I protocolli di legalità costituiscono oggi utili strumenti per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle attività economiche, specie nei territori dove il fenomeno è particolarmente radicato.
Uno degli effetti principali è di natura contrattuale, prevedendo gli stessi l’obbligo di risoluzione immediata ed automatica del vincolo negoziale qualora emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.
L’effetto è evidentemente incisivo, sia sotto il profilo giuridico, determinando la cessazione di ogni relativo effetto, sia, e soprattutto, sotto il profilo economico.
Peraltro, è il caso di sottolineare come l’effetto risolutivo delle informazioni antimafia non è soltanto la conseguenza di una prescrizione contrattuale sottoscritta in forza del protocollo di legalità di riferimento. Infatti, tali clausole sono frequentemente rinvenibili anche al di fuori dell’ambito di applicazione dei richiamati protocolli.
Tuttavia, il nostro ordinamento, ai sensi degli articoli 10, comma 9, del D.P.R. n. 252 del 1998, conosce almeno due diverse informative antimafia, quella tipica ed atipica:
“a) la prima, comportante il divieto di stipulazione (ovvero l’automatica risoluzione) di contratti con imprese per le quali emergano elementi comprovanti le infiltrazioni della criminalità organizzata (mediante le informative cd. "tipiche" od "interdittive");
b) l’altra, consistente nel fornire alle Amministrazioni elementi che – se pur non tali da consentire di ritenere sussistenti le infiltrazioni – permettano alle stesse la valutazione, nell’ambito della loro discrezionalità e nei limiti previsti dalla legge, dei requisiti soggettivi del soggetto contraente (mediante le informative cd. "atipiche").”
Su queste coordinate, i Giudici del Tar Lazio, con la sentenza in commento n. 32839/2010, sono stati chiamati a stabilire se, nel caso considerato, entrambe le informative possano incidere sull’efficacia del contratto, determinandone la risoluzione automatica.
Sul punto è stato chiarito che il c.d. protocollo di legalità “nel determinare ipotesi che comportano l’obbligo di "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale" in dipendenza di "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa", si riferisce ad elementi che si sostanziano in "informazioni antimafia dal valore interdittivo".
Per un verso, ciò si evince dalla lettura coordinata delle lettere c) e d) dell’art. 2, non essendo ragionevole ritenere che le due disposizioni fondino le medesime conseguenze (cioè la "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale"), da un lato su formali "informazioni antimafia dal valore interdittivo" e, da altro lato, su "elementi" non meglio definiti (atipici) "relativi a tentativi di infiltrazione".
Per altro verso, è del tutto evidente che un effetto "immediato ed automatico" di revoca di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato e, per di più, di risoluzione unilaterale di un contratto, non può che conseguire ad ipotesi puntualmente definite dal legislatore, ipotesi che, in quanto tali, consentono di ritenere (con ragionevolezza) vincolata l’attività dell’amministrazione e che, imponendosi come factum principis, legittimano la risoluzione del rapporto contrattuale.
Ciò comporta che la revoca della concessione e la risoluzione del contratto, automaticamente ed immediatamente disposte, possono conseguire solo alla presenza di cause interdittive di cui agli artt. . n. 575/1965, 4 d. lgs. n. 490/1994 e 10 DPR n. 252/1998, ma non possono conseguire, nello stesso modo immediato ed automatico, alla mera rilevazione di elementi che – non assurgendo ex se a fondamento di informazioni antimafia con effetto interdittivo – abbisognano di valutazione da parte dell’amministrazione e quindi di motivazione in ordine alla loro rilevanza.”
In definitiva, dunque, in presenza di informative antimafia atipiche, l’effetto risolutivo immediato non si verifica e l’amministrazione appaltante è chiamata a valutare autonomamente ed in maniera discrezionale la possibilità di giungere alla risoluzione contrattuale, partendo dalle informazioni oggetto della richiamata informativa.
[TAR Lazio – Roma, Sez. I - sentenza 18 ottobre 2010 n. 32839]

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AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA E AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA

Il Consiglio di Stato Sez. V, con sentenza n. 1446 dell’ 8 marzo 2011 ha chiarito come nell’ambito di una procedura di scelta del contraente, l’aggiudicazione provvisoria rappresenta un atto necessario ma non decisivo atteso che l’individuazione definitiva del concorrente risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un ricorso presentato da un soggetto che dopo essere stato dichiarato aggiudicatario provvisorio, aveva successivamente impugnato il provvedimento con il quale la stazione appaltante aveva annullato, in autotutela, l’aggiudicazione provvisoria. In particolare veniva censurata la mancata comunicazione di avvio del procedimento che si era concluso con l’adozione del provvedimento in autotutela.
Per una migliore comprensione della decisione in commento, sembra opportuno riportare le disposizioni del d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento) al suo comma 5 prevede che “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12 comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento) prevede, al 1° comma, che “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può vedere come nell’ambito del Codice dei contratti l’aggiudicazione provvisoria rappresenta solo un presupposto dell’unico procedimento di aggiudicazione che comunque deve essere concluso con il provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In conformità al dettato normativo il Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; pertanto, versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha contribuito ulteriormente a chiarire come l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo necessario ma non decisivo, considerato la sua natura di atto endoprocedimentale, ai fini della definitiva aggiudicazione dell’appalto.

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ART. 38 E DOVERI DELLA STAZIONE APPALTANTE

La stazione appaltante ha il dovere di esprimere un giudizio rispetto alle condanne dichiarate dai concorrenti in sede di gara.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 3 dicembre 2010 n. 8535. Nel caso di specie, relativo all’affidamento dei lavori di rifacimento di un tratto stradale, uno dei concorrenti aveva impugnato l’esclusione dalla gara comminata per violazione dell’articolo 38 del Codice dei contratti.
I giudici di Palazzo Spada affrontando la questione, posta all’esame del Tar Piemonte in primo grado, affermano un principio fondamentale per l’agire delle stazioni appaltanti.
Mettendo in luce la discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione delle condanne riportate dai concorrenti “fermo restando, pertanto, il dovere dei concorrenti di dichiarare lealmente tutte le condanne subite”, si sostiene che da questo principio “non può non discendere il dovere della stazione appaltante di motivare in maniera congrua il proprio giudizio, non solo quando questo propenda per il carattere ostativo delle eventuali condanne, ma anche nella diversa ipotesi in cui una condanna penale – pur sussistente – sia reputata irrilevante e comunque non incidente sull’affidabilità del concorrente.” La decisione della stazione appaltante circa l’incisione o meno della condanna dichiarata dal concorrente sulla sua moralità professionale deve essere necessariamente supportata da un giudizio conoscibile per coloro che interagiscono con l’amministrazione, “il problema, infatti, non è la logicità o meno del giudizio nella specie espresso dalla stazione appaltante, ma la mancanza di tale giudizio, ossia l’impossibilità di interpretare in un senso o nell’altro il silenzio serbato sulla condanna riportata da uno dei concorrenti.” In conclusione, il dovere per le amministrazioni aggiudicatrici, illustrato nella sentenza, discende da elementari principi di trasparenza e par condicio, in quanto deve essere tutelato l’interesse degli altri concorrenti a conoscere il perché determinati pregiudizi penali siano giudicati ostativi ed altri no.

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LA RESPONSABILITA’ IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO

L’art. 16 del D. Lgs. 81/08 e successive modifiche definisce chiaramente come deve essere formalizzato un atto di delega affinche` possa essere ritenuto efficace sotto il profilo delle responsabilita` del delegato e del delegante.
L`Ance ha ritenuto opportuno riformulare la propria pubblicazione in materia di tutela della sicurezza, alla luce del rinnovato assetto normativo e con il primario obiettivo di fornire uno strumento adeguato a chiarire i delicati profili di responsabilita` che coinvolgono le figure ricoprenti ruoli significativi all`interno dell`impresa.
Il documento si compone di due parti:
- la prima parte approfondisce le figure rilevanti previste dal D. Lgs. 81/08 (datore di lavoro, dirigente, proposto, Rspp) analizzando le relative posizioni di garanzia ed effettuando un`ampia trattazione giuridica sulla delega di funzioni. Si e` organizzata la struttura del lavoro approfondendo le figure rilevanti, ai fini della sicurezza, dapprima nell`ambito di una generica organizzazione aziendale e poi con specifico riferimento alle imprese edili;
- la seconda parte riporta esempi di lettere di incarico ed esempi di deleghe di funzioni in materia di sicurezza che il datore di lavoro puo` utilizzare dopo averle adattate alla realta` organizzativa dell`impresa.

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DURC NON AUTOCERTIFICABILE

Nota Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16/1/2012
Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) - art.44 bis, D.P.R. n.445/2000 - Non autocertificabilità

La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la nota prot. 37/0000619/MA007.A001 del 16 gennaio 2012, con la quale informa che il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), relativo al regolare versamento della contribuzione obbligatoria, non è un documento autocertificabile. Il chiarimento è dovuto all'errata interpretazione, da parte di talune fonti, dell'articolo 44 bis del D.P.R. 445 del 2000, introdotto dalla Legge di stabilità n. 183 del 2011.
Il Ministero precisa che l'articolo 44-bis stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del DURC senza intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un Organismo tecnico (Istituti previdenziali o Casse edili) non possono essere sostituite da una autodichiarazione.
Il dicastero ha ribadito nella nota in oggetto che la certificazione relativa al regolare versamento della contribuzione obbligatoria, non costituisce una certificazione dell`effettuazione di una mera somma a titolo di contribuzione (come si intende dall`art. 46 del D.P.R. n. 445/2000) ma e` un`attestazione dell`Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realta` aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivanti dalla applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali.
Pertanto, con l`introduzione dell`art. 15 della L. n. 183/2011, il legislatore ha ribadito esclusivamente una modalita` di acquisizione del Durc da parte della P.A. (modalita` tra l`altro gia` espressa nell`art. 16bis comma 10 della L. n. 2/2009), senza intaccare il principio gia` in passato espresso secondo il quale le valutazioni effettuate da un Organismo tecnico non possono essere sostituite da un`autodichiarazione, che non insiste evidentemente ne` su fatti, ne` su status, ne` tantomeno su qualita` personali.
L`art. 44bis, inoltre, avrebbe precisato, secondo il dicastero, che nel procedere al controllo delle informazioni relative alla regolarita` contributiva ai sensi dell`art. 71, la P.A. puo` acquisire un Durc, non autocertificabile, dal soggetto interessato i cui contenuti potranno essere vagliati dall`amministrazione con le stesse modalita` previste per l`autocertificazione (ex art. 71 del D.P.R. n. 445/2000).

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LA COLPA NEGLI INFORTUNI SUL LAVORO

Quando si parla di colpa nel diritto penale, il parametro normativo di riferimento è costituito dall'art. 43 c.p., a termini del quale: «Il delitto: ... è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».
La colpa consta, dunque, di un requisito negativo e di un requisito positivo.
Il requisito negativo è dato dall'involontaria realizzazione del fatto («il delitto è colposo ... quando l'evento ... non è voluto dall'agente»; questo requisito distingue la colpa dal dolo, che si configura quando l'evento è stato preveduto e voluto dall'agente. L'eventuale presenza della sola previsione dell'evento («anche se preveduto») compare dalla nozione legislativa di colpa per individuare l'ipotesi aggravata della colpa cosciente che dà vita, ai sensi dell'art. 61 n. 3 c.p., ad una circostanza aggravante dei reati colposi.
Il requisito positivo della colpa, che la individua e la caratterizza come peculiare forma di responsabilità, è dato dall'imprudenza, dalla negligenza, dall'imperizia (c.d. colpa generica), ovvero dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica); questo requisito, nelle sue varie forme, deve abbracciare e deve riferirsi a tutti gli elementi costitutivi del fatto antigiuridico («il delitto è colposo quando l'evento ... si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline»).
La presenza delle varie forme di colpa si fonda su un giudizio interamente normativo, cioè sul contrasto tra la condotta concreta dell'agente e il modello di condotta imposto dalla regola di diligenza, prudenza e perizia, il cui rispetto era necessario per evitare la realizzazione prevedibile di un fatto preveduto dalla legge come reato colposo.
La dottrina chiarisce che:
a) il concetto di imprudenza denota il contrasto fra la condotta concreta e la norma che vietava in assoluto di agire o vietava di agire con determinate modalità;
b) il concetto di negligenza sta a denotare l'omesso compimento di un'azione doverosa;
c) infine, l'imperizia consiste in un'imprudenza e/o in una negligenza nello svolgimento di attività che esigono il possesso e l'impiego di particolari abilità e/o cognizioni.
Va in ogni caso sottolineata la finalità cautelare che accomuna le regole di diligenza, prudenza e perizia: la loro osservanza serve cioè ad evitare la realizzazione di eventi dannosi o pericolosi prevedibili.
Quanto alle forme della colpa specifica (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline), va sottolineato che ciò che differenzia queste forme di colpa dalla colpa generica è solo la fonte delle regole la cui inosservanza determina la colpa: si tratta di norme giuridiche pubbliche o private (leggi, regolamenti, ordini, discipline). Ciò che, d'altra parte, accomuna tutte le regole di diligenza, prudenza e perizia, qualunque ne sia la fonte, è il loro scopo che, invariabilmente, è la prevenzione di eventi prevedibili.
È, peraltro, necessario accertare la colpa anche in relazione ad attività penalmente illecite. Le precauzioni doverose, finalizzate ad evitare eventi prevedibili del tipo di quello verificatosi in concreto, possono senz'altro essere contenute anche in leggi penali (ad es., proprio le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Si deve però distinguere tra la sanzione inflitta per la violazione della legge penale e il rilievo attribuibile a tale violazione ai fini del giudizio di colpa. (continua)

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DECRETO SALVA-ITALIA: LE NOVITÀ DEL SETTORE EDILE ED URBANISTICO

Il 27 dicembre 2011 sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 è stata pubblicata la Legge 22 dicembre 2011 n. 214, di conversione del D.L. 201/2011 (Decreto Salva Italia).
Essa ha introdotto alcune novità nel settore edile ed in quello urbanistico che vengono analizzate e commentate in una nota dell'ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili).
Quelle di maggior interesse riguardano:
-       Esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, sotto soglia a scomputo degli oneri concessori, a carico del titolare del Permesso di Costruire;
-       Introduzione dell'IMU e rivalutazione dei coefficienti catastali;
-       Messa a regime dal 2012 della detrazione del 36% e proroga di quella del 55% fino a dicembre 2012;
-       Aumento aliquote IVA di 2 punti percentuale da ottobre 2012;
-       Istituzione dal 2013 della T.A.R.E.S (Tassa comunale sui Rifiuti e sui Servizi);
-       Istituzione dal 2011 dell'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato;
-       Istituzione, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute;
-       Prevista l'approvazione da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del CIPE dei progetti preliminari relativi ad opere di interesse strategico.

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AMIANTO: RISCHI, INTERVENTI DI BONIFICA E SMALTIMENTO

L'amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati molto comune in natura. La sua estrema resistenza al calore, all'azione di agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura lo hanno reso un ottimo materiale per tessuti a prova di fuoco, per la coibentazione di edifici e per manufatti in cemento-amianto (eternit) quali tubazioni o lastre. Tuttavia, l'inalazione delle sue polveri o delle sue fibre è nociva in quanto provoca malattie al sistema respiratorio di natura cancerogena.
L'amianto rappresenta un pericolo per la salute; il suo utilizzo è vietato dalla legge.
Un interessante opuscolo sull'amianto negli edifici a cura dell'ARPA Piemonte (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) propone una guida pertutelarsi da eventuali rischi legati alla presenza di amianto negli edifici.

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22 gennaio 2012

REVISIONE DELLE DIRETTIVE UE RELATIVE AGLI APPALTI PUBBLICI

La Commissione Europea ha annunciato larevisione delle direttive relative agli appalti pubblici rientrante in un programma complessivo finalizzato a una profonda modernizzazione degli appalti pubblici nell’Unione europea. In tale programma è compresa inoltre una direttiva sulle concessioni che fino ad oggi sono state disciplinate soltanto parzialmente a livello europeo e che presentano particolarità tali da giustificare un testo separato, mantenendo la coerenza con la riforma generale.
La riforma della normativa sugli appalti pubblici costituisce una delle dodici azioni prioritarie nell’ambito dell’Atto per il mercato unico, adottato nell’aprile 2011 (IP/11/469). Per tutti gli Stati membri, l’efficacia della commessa pubblica è diventata in effetti una priorità di fronte alle attuali restrizioni di bilancio. Perciò è necessario disporre di strumenti flessibili e semplici da utilizzare, che permettano ai poteri pubblici e ai loro fornitori di concludere contratti trasparenti e competitivi il più facilmente possibile per acquistare al miglior rapporto qualità/prezzo (“value for money”). La riforma proposta mira a modernizzare profondamente i mezzi e gli strumenti esistenti.
1. L’obiettivo primario consiste nella semplificazione e nello snellimento della normativa e delle procedure. In tal senso, la Commissione propone in particolare:
- la possibilità di ricorrere sempre più alla trattativa che permette alle amministrazioni aggiudicatrici l’acquisizione di beni e di servizi che rispondano in modo più adeguato alle loro esigenze e al principio del miglior prezzo;
- l’estensione e a medio termine la diffusione generale dell’elettronica come modo di comunicazione per quanto riguarda gli appalti pubblici, poiché si tratta di un mezzo essenziale per semplificare le commesse pubbliche;
- la drastica riduzione degli oneri amministrativi tra cui la documentazione richiesta agli operatori economici che agevolerà il lavoro di questi ultimi.
2. Favorire l’accesso agli appalti pubblici delle PMI: ciò sarà agevolato e incrementato dalle misure che riducono gli oneri e da un forte incentivo alla divisione in lotti e alla limitazione dei requisiti di capacità finanziaria richiesti per presentare un’offerta.
3. Inoltre, la riforma proposta mira ad agevolare una migliore utilizzazione dal punto di vista qualitativo della commessa pubblica, tenendo maggiormente in considerazione i criteri sociali e ambientali sia che si tratti del costo del ciclo di vita, sia dell’inserimento delle persone vulnerabili e svantaggiate, contribuendo in questo modo alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020.
4. La riforma comprende anche:
- il miglioramento delle garanzie esistenti per contrastare i conflitti di interesse, il favoritismo e la corruzione onde garantire maggiormente l’integrità delle procedure, tenuto conto delle implicazioni finanziarie;
- la designazione da parte degli Stati membri di un’autorità nazionale unica incaricata della vigilanza, dell’esecuzione e del controllo degli appalti pubblici per garantire un’applicazione migliore delle norme nella pratica.
5. La direttiva sulle concessioni. La proposta di direttiva sulle concessioni contempla gli accordi di partenariato tra un ente (nella maggior parte dei casi) pubblico e un’impresa (spesso) privata, in cui quest’ultima assume il rischio di gestione relativo alla manutenzione e allo sviluppo delle infrastrutture (porti, approvvigionamento idrico, parcheggi, strade a pagamento ecc.) o alla fornitura di servizi d’interesse economico generale (energia, salute, approvvigionamento e trattamento idrico ed eliminazione dei rifiuti ecc.).
La suddetta proposta completa il regime europeo degli appalti pubblici: infatti, essa si applicherà alle concessioni di servizi che erano rimaste le uniche ad oggi a non essere oggetto di disposizioni di diritto derivato. Essa mira a garantire l’accesso effettivo al mercato delle concessioni a tutte le imprese europee, comprese le piccole e medie imprese e potrebbero così contribuire a incentivare lo sviluppo di partenariati pubblici-privati di cui le concessioni costituiscono uno strumento privilegiato.
Le proposte della Commissione sono trasmesse al Consiglio dei Ministri e al Parlamento europeo per avviare l’iter legislativo per l’adozione prevista entro la fine del 2012 dall’Atto per il mercato unico.
Cfr. anche i MEMO/11/931 e MEMO/11/931.
Per maggiori informazioni sulla politica dell’UE in materia di appalti pubblici è possibile consultare il sito:
ed i seguenti documenti:

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FINANZIAMENTO DI INFRASTRUTTURE MEDIANTE DEFISCALIZZAZIONE


Art. 18. Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione
1. Al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture autostradali con il sistema della finanza di progetto, le cui procedure sono state avviate, ai sensi della normativa vigente, e non ancora definite alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché di opere di infrastrutturazione ferroviaria metropolitana e di sviluppo ed ampliamento dei porti e dei collegamenti stradali e ferroviari inerenti i porti nazionali appartenenti alla rete strategica transeuropea di trasporto essenziale (CORE TEN-T NETWORK) riducendo ovvero azzerando l'ammontare del contributo pubblico a fondo perduto, possono essere previste, per le società di progetto costituite ai sensi dell'articolo 156 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, le seguenti misure:
(comma così modificato dall'art. 42, comma 8, legge n. 214 del 2011)
a) le imposte sui redditi e l'IRAP generate durante il periodo di concessione possono essere compensate totalmente o parzialmente con il predetto contributo a fondo perduto;
b) il versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi dell'articolo 27 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, può essere assolto mediante compensazione con il predetto contributo pubblico a fondo perduto, nel rispetto della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa all'IVA e delle pertinenti disposizioni in materia di risorse proprie del bilancio dell'Unione europea;
c) l'ammontare del canone di concessione previsto dall'articolo 1, comma 1020, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nonché, l'integrazione prevista dall'articolo 19, comma 9-bis, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, possono essere riconosciuti al concessionario come contributo in conto esercizio.
2. L'importo del contributo pubblico a fondo perduto nonché le modalità e i termini delle misure previste al comma 1, utilizzabili anche cumulativamente, sono posti a base di gara per l'individuazione del concessionario, e successivamente riportate nel contratto di concessione da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La misura massima del contributo pubblico, ivi incluse le misure di cui al comma 1, non può eccedere il 50 per cento del costo dell'investimento e deve essere in conformità con la disciplina nazionale e comunitaria in materia.
3. L'efficacia delle misure previste ai commi 1 e 2 è subordinata all'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dall'articolo 104, comma 4, del testo unico di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
4. In occasione degli aggiornamenti periodici del piano economico-finanziario si procede alla verifica del calcolo del costo medio ponderato del capitale investito ed eventualmente del premio di rischio indicati nel contratto di concessione vigente, nonché alla rideterminazione delle misure previste al comma 1 sulla base dei valori consuntivati nel periodo regolatorio precedente, anche alla luce delle stime di traffico registrate nel medesimo periodo.

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