28 giugno 2011

AVVALIMENTO: POSSIBILE UTILIZZO PER COMPROVA DELLA DISPONIBILITÀ DEI REQUISITI SOGGETTIVI DI “QUALITÀ”

L’istituto dell'avvalimento previsto dall’art. 49 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in linea generale, può anche essere utilizzato per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”, atteso che la disciplina del codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, che assume una portata generale. In tal caso, tuttavia, è onere della concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare” il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti). TAR Piemonte sez. I 16/6/2011 n. 631

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24 giugno 2011

REGIME FISCALE DEI TERRENI IN FASCIA DI RISPETTO

Con la sentenza nº 8609/2011 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ritenuto che i terreni edificabili inseriti nel Piano Regolatore Generale che siano compresi nelle fasce di rispetto ferroviario o stradale, poiché sprovvisti delle possibilità di edificazione legale, ai fini fiscali devono essere equiparati alle aree agricole.

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22 giugno 2011

“OPERE PRECARIE” E TITOLO EDILIZIO

Il titolo edilizio costituito dal permesso di costruire è richiesto per le c.d. “case mobili” ancorché esse siano manufatti precari, in quanto la precarietà di un manufatto edilizio, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso al quale il manufatto stesso è destinato. Pertanto, la precarietà (che non richiederebbe di per sé alcun titolo edilizio) va esclusa quando trattasi di strutture destinate a dare utilità prolungata nel tempo, non valendo l’intenzione di temporaneità della destinazione data all’opera dai proprietari poiché tale intenzione va esaminata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera o del manufatto (Cons. Stato, sez. V, sent. 15 maggio 2009, n. 3029; 28/3/2008, n. 1354).
In termini più generali, può dirsi che tale orientamento ha trovato formale consacrazione nell’art. 3, comma 1, lett. e.5 del d.P.R. 380/2001 e s.m.i. (nuovo T.U. edilizia) secondo cui per “interventi di nuova costruzione”, assoggettati a permesso di costruire si intendono “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, (...) utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili” (e sarebbero tali anche i manufatti galleggianti: cfr. Cass. pen., III, 24 novembre 2006, n. 37718, con necessità, nel caso, del permesso di costruire).
Ne deriva, perciò, che l’unico elemento rilevante per far venir meno detta classificazione è il carattere realmente precario dell’opera o del manufatto (criterio c.d.“funzionale”), vale a dire il fatto che esso sia diretto come vuole l’uniforme giurisprudenza – “a soddisfare esigenze meramente temporanee”, il che si rinviene soltanto quando l’utilizzo è circoscritto nel tempo (ed in tal senso è bene precisare che precarietà non vuol dire stagionalità, cioè un utilizzo ricorrente anno per anno della struttura – es. stabilimenti balneari – per taluni mesi: cfr. Cass. pen., III, 20 marzo 2008, n. 12428; III, 2 febbraio 2006, n. 4250).
È bensì vero certamente, in tale quadro, che può valere allo scopo per una amministrazione l’accertamento (anche tramite prove fotografiche) delle modalità con cui è stato effettuato o realizzato un manufatto o delle caratteristiche dello stesso, nel senso che possono essere indizi palesi di uso permanente (c.d. “criterio strutturale”) l’infissione al suolo o la saldatura di travi e pilastri mentre, al contrario, la modesta consistenza oppure la facile rimovibilità del manufatto non sono di per sé indici di uso temporaneo, tali da escludere cioè la necessità del permesso di costruire.
In ogni caso, sembra quasi superfluo sottolineare che le strutture precarie, una volta acclarate come tali e quindi con l’esenzione dai titoli edilizi – permesso di costruire o s.c.i.a/d.i.a. – devono però essere conformi con la destinazione di zona e con le relative prescrizioni delle norme tecniche degli strumenti urbanistici vigenti e con la normativa generale, come ad es. in tema di disponibilità dell’area, di rispetto delle norme di settore su paesaggio, sismicità, ecc. (cfr. Cass. pen., III, 20 marzo 2008, n. 12428; Cons. Giust. Amm. Reg Sic. 15 ottobre 2009, n. 923), altrimenti incorrendo le stesse in abusività indipendentemente dal loro carattere e uso precario e temporaneo.
Di tali orientamenti si è dato carico di recente anche T.A.R. Lazio, sez. I-quater, 21 gennaio 2011, n. 613 nel confermare un indirizzo che ogni amministrazione comunale è chiamata a perseguire, dovendosi rammentare che nemmeno un regolamento edilizio comunale può superare e disattendere il principio generale fissato dalla legislazione statale in materia di governo del territorio in base al quale è inammissibile (e foriera di conseguenze anche penali) la configurazione di un provvedimento abilitativo edilizio che consenta di realizzare opere o manufatti in contrasto con la normativa urbanistica. Come a dire, in altri termini, una data struttura se presenta un carattere oggettivamente precario per le finalità cui è destinata non ha bisogno di alcun permesso o titolo edilizio oppure presenta carattere di stabilità ed allora necessita del titolo abilitativo richiesto dalla normativa urbanistica (giurisprudenza uniforme).

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LA VIA NEGATIVA NON IMPEDISCE LA REALIZZAZIONE DELL'OPERA

La IV sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 129 del 18 gennaio 2006 si è pronunciata in materia di valutazione di impatto ambientale dell’opera pubblica progettata, concludendo che è legittima la realizzazione dell’opera, anche se il procedimento di VIA dia esito negativo, qualora l’intervento progettato non sia viziato da eccesso di potere e sussista un prevalente intereresse di carattere pubblico rispetto all’impatto negativo dell’opera sull’ambiente.
Il concetto di valutazione d’impatto ambientale implica necessariamente che le opere da realizzare abbiano un’incidenza negativa sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in misura più o meno invasiva e penetrante. I giudici sottolineano, tuttavia, come l’impatto del progettato intervento sul territorio, anche se dannoso, non può essere, per ciò solo, ritenuto preclusivo alla realizzazione dell’opera ed affermano che per stabilire se le opere (e le alterazioni conseguenti alla loro realizzazione) possano ritenersi accettabili occorre effettuare un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, dall’altro, dell’interesse pubblico sotteso alla loro esecuzione.
Il Collegio afferma come il procedimento di VIA, anche se finalizzato a migliorare la trasparenza della decisione finale, consentendo di acquisire gli elementi necessari ad un corretto bilanciamento tra danni e benefici derivanti dall’esecuzione dell’opera pubblica, costituisca, in realtà, un mero strumento di supporto tecnico alla decisione finale, la quale, ove sia assunta dalla collegialità del Governo implica marcati profili di valutazione politica che ne restringono la sindacabilità del giudice amministrativo.
Nella fattispecie, i giudici rilevano che i provvedimenti con i quali, rispettivamente, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dichiara la compatibilità ambientale di un’opera pubblica (prolungamento di un tratto autostradale) e il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti approva il progetto di realizzazione dell’opera stessa vanno correttamente qualificati come atti di “alta amministrazione” sindacabili in sede giurisdizionale solo se affetti da vizio di eccesso di potere nelle particolari figure dell’inadeguatezza del procedimento, illogicità, contraddittorietà, dell’ingiustizia manifesta, dell’arbitrarietà, ovvero dell’irragionevolezza.

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18 giugno 2011

AFFIDAMENTI "DIRETTI" PER SERVIZI (COMPRESI QUELLI TECNICI) E FORNITURE PER IMPORTI INFERIORI A 40.000 EURO

Si prevede l’introduzione di una lettera m-bis) in sede di conversione del DL sviluppo volta ad elevare da 20.000 a 40.000 euro la soglia oltre la quale è prevista, dall’articolo 125, comma 11, del Codice, la procedura negoziata per cottimo fiduciario e al di sotto della quale è consentito l’affidamento diretto di servizi o forniture da parte del responsabile del procedimento; conseguentemente viene modificato l’articolo 267 del regolamento nella parte in cui rinvia, per i servizi di architettura e ingegneria, alle norme recate dal comma 11 dell’articolo 125 (ulteriore nuova formulazione dell’em. 4.171).

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13 giugno 2011

INDENNITA’ DI OCCUPAZIONE E MANCATA REALIZZAZIONE DELL’OPERA

Avvenuta l’immissione in possesso dell’immobile, già da tale momento deve presumersi che il proprietario dell`immobile medesimo, formalmente occupato, ha subito, fino al termine dell`occupazione, il duplice danno di aver perso la facoltà di godimento dell`immobile stesso e di vedersi limitata la facoltà di disporne.
La mancata realizzazione della strada non è sufficiente al fine di contrastare validamente l’insorgere dell’indennità di occupazione. Infatti, a tal riguardo, è necessario che l’Amministrazione dimostri che il possesso materiale ed effettivo dell’immobile era rimasto al proprietario, nonostante il verbale di immissione e la mancata realizzazione dell’opera pubblica.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sez. I, nella sentenza 11.9.2010, n. 22913, ove vengono effettuate importanti precisazioni in tema di rapporti fra la mancata realizzazione di un’opera pubblica, il verbale di immissione in possesso e l’insorgere del diritto all’indennità di occupazione. occorre rilevare che in tema di occupazione destinata alla realizzazione di un`opera pubblica, la formale redazione del verbale di immissione in possesso, in conseguenza di un decreto di occupazione, fa presumere che la pubblica amministrazione, beneficiaria dell`occupazione medesima, si sia effettivamente impossessata dell`immobile.
La ragione di ciò, come convincentemente rileva la Suprema corte, deve essere ricercata nella natura di atto pubblico del verbale di immissione in possesso: “E dall` altro che, siccome detto verbale è redatto a cura dell`ente espropriante ed il tecnico comunale, che lo ha redatto, svolge funzioni pubbliche, il provvedimento fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza”. In altri termini, la natura di atto pubblico del verbale di immissione in possesso dell`immobile, per il quale è stato emesso il decreto di occupazione, deriva sia dal suo contenuto, di atto di esecuzione di un provvedimento della p.a., che agisce iure imperii, che dalla qualità di pubblico ufficiale di colui che lo redige, ai sensi dell’articolo 2700 c.c.
Dimostrata, dunque, la completezza e la validità del verbale di immissione in possesso, ne deriva che il proprietario è da considerarsi come “effettivamente spossessato” del bene, con il profilarsi di un duplice danno: la perdita della facoltà di godimento dell`immobile e della facoltà di disposizione del medesimo.
A fronte di tale verbale, completo e perfetto, non può esplicare alcun effetto la mancata realizzazione dell’opera pubblica, fatto, che di per se, non può far venir meno l’effettiva occupazione ed il correlato diritto all’indennità. Pertanto, incombe sul comune, quale Autorità espropriante, e non sul privato proprietario, l’onere di provare la mancata esecuzione del provvedimento amministrativo di occupazione (in tal senso, anche: Cass. civ., sez. I, n. 8.384/2008). In altri termini, il comune doveva dimostrare che il possesso materiale ed effettivo dell’immobile era rimasto al proprietario, nonostante il verbale di immissione e la mancata realizzazione dell’opera pubblica. Tale comprovazione non è stata prodotta, per cui la Cassazione ha rigettato il ricorso.

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12 giugno 2011

OBBLIGHI IN MATERIA DI SUBAPPALTO

Ai sensi dell’art. 118 del Codice dei contratti (commi 3,4 e 6) devono essere ottemperati i seguenti obblighi:

- è fatto obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l'indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari. (comma 3)
- L'affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento. L'affidatario corrisponde gli oneri della sicurezza, relativi alle prestazioni affidate in subappalto, alle imprese subappaltatrici senza alcun ribasso; la stazione appaltante, sentito il direttore dei lavori, il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, ovvero il direttore dell'esecuzione, provvede alla verifica dell'effettiva applicazione della presente disposizione. (comma 4)
- L'affidatario e, per suo tramite, i subappaltatori, trasmettono alla stazione appaltante prima dell'inizio dei lavori la documentazione di avvenuta denunzia agli enti previdenziali, inclusa la Cassa edile, assicurativi e antinfortunistici, nonché copia del piano di sicurezza di cui all’art.131 (comma 7 dell’art.118); (comma 6)
- Ai fini del pagamento degli stati di avanzamento dei lavori o dello stato finale dei lavori, l'affidatario e, suo tramite, i subappaltatori trasmettono all'amministrazione o ente committente il documento unico di regolarità contributiva. (comma 6) (ai sensi dell'art. 16-sexies, comma 10, della legge n. 2 del 2009 il DURC deve essere acquisito d'ufficio dalla Stazione appaltante).

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VAM INCOSTITUZIONALE

Il valore agricolo medio (VAM), criterio indennitario per le aree non edificabili in materia di espropriazione per pubblica utilità, è stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 181/2011 depositata il 10 giugno 2011.
La Corte “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli articoli 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto,della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli); dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’articolo 40, commi 2 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità)”.

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LINEE GUIDA PER L'APPLICAZIONE DELL'ART. 48 DEL D. LGS. N. 163/2006

Per l'applicazione dell'art. 48 del D. LGS. n. 163/2006 è opportuno fare riferimento alle Linee guida emanate dall’AVCP con Determinazione n. 5 del 21 Maggio 2009.
La procedura prevista dall'art. 48 si applica ai contratti aventi ad oggetto lavori, servizi, e forniture, nei settori ordinari, sia sopra che sotto soglia comunitaria (il Titolo II del Codice non ne esclude, infatti, l'applicazione ai contratti sotto soglia).
Dal tenore letterale della norma, si evince che essa trova applicazione agli appalti di lavori ed agli appalti di servizi e forniture che si svolgono con procedura aperta, ristretta, negoziata, con o senza pubblicazione di un bando di gara, o con dialogo competitivo, sempre che sia stata richiesta ai concorrenti, per la partecipazione alla gara, una dichiarazione sostitutiva circa il possesso dei requisiti speciali, individuati nei loro livelli minimi.
L'attivazione del procedimento di verifica di cui all'art.48 del Codice è obbligatorio, così come si evince dalla lettera della norma, senza alcun margine di discrezionalità da parte della stazione appaltante. Ne consegue che non occorre preventivamente indicare negli atti di gara, né l'attivazione della procedura di verifica, né il numero di soggetti che ne saranno interessati; le sole indicazioni destinate ad essere espresse nel bando o nella lettera di invito, come di seguito sarà precisato, riguardano i mezzi di prova che gli operatori economici saranno tenuti a produrre per dimostrare la veridicità di quanto dichiarato, nonché i requisiti minimi di partecipazione previsti nel bando di gara e i criteri per la valutazione degli stessi.
Si ricorda che, nel caso in cui il partecipante alla gara non faccia ricorso alla dichiarazione sostitutiva circa l'attestazione del possesso dei requisiti, sottoscritta in conformità alle disposizioni del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, ma presenti, già in sede di domanda di partecipazione o di offerta, la documentazione indicata nel bando di gara o nella lettera di invito, questi sarà direttamente ammesso alle operazioni di gara successive al sorteggio, mentre il campione su cui effettuare la verifica di che trattasi sarà pari, al minimo, al 10% del numero di partecipanti, depurato dello stesso. Analogamente, limitatamente agli appalti di lavori pubblici di importo inferiore a € 150.000, il sorteggio sarà condotto esclusivamente sui concorrenti non in possesso di attestato SOA e, di conseguenza, il 10% sarà calcolato sul numero di partecipanti al netto di quelli qualificati; questi ultimi saranno direttamente ammessi alle successive fasi di gara. Se, invece, la documentazione comprovativa da questi presentata, in sede di domanda di partecipazione o di offerta, sia integrata da dichiarazioni sostitutive circa il possesso dei residui requisiti richiesti, detto concorrente sarà inserito nel numero di partecipanti da cui estrarre il campione su cui effettuare la verifica e, se individuato mediante sorteggio, o in qualità di primo o secondo classificato, la stazione appaltante ne richiederà la documentazione di comprova limitatamente ai requisiti oggetto di dichiarazione.

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DIRETTORE LAVORI E SUBAPPALTI

Si ritiene opportuno ricordare alle figure preposte (responsabile del procedimento e direttore dei lavori) le responsabilità connesse all’omessa vigilanza nell’ipotesi di subappalto non autorizzato. Infatti, sebbene ciò sia deducibile solo per estensione dalle disposizioni normative vigenti (ex art. 126, comma 2, lett. c) del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m. oggi art.150 del DPR 207/2010), si ritiene che il direttore dei lavori, qualora rilevi, seppur incidentalmente, l’esistenza di subappalti non autorizzati (reato perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 21 della legge n. 646/82), è tenuto a segnalare il fatto, sia al proprio superiore gerarchico sia direttamente all’autorità giudiziaria. Quest’ultima segnalazione diviene obbligatoria se al direttore dei lavori si riconosce la qualifica di “pubblico ufficiale”, tesi che trova riscontro in giurisprudenza. Deliberazione dell’AVCP n. 62 del 08/06/2005.

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GRUPPO MISTO DI DIREZIONE LAVORI

Ai fini della costituzione dell’Ufficio di direzione lavori ex art. 123, comma 1, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m., ora art. 147 del DPR 207/2010, la normativa non nega espressamente la possibilità di formare un gruppo misto con l’apporto di professionisti estranei all’organizzazione del committente pubblico. Tuttavia il gruppo misto di direzione lavori non si presta ad essere formato liberamente da parte della PA, stante il vincolo di subordinazione tra la funzione di DL e quella di direttore operativo e la conseguente gradazione di responsabilità all’interno dell’Ufficio di direzione dei lavori. I direttori operativi e gli ispettori di cantiere, infatti, nell’impostazione attuale della normativa, sono di supporto all’attività del Direttore dei lavori, che rimane in ogni caso responsabile in prima persona della correttezza della contabilità e della buona esecuzione dei lavori, cosicché all’interno di tale Ufficio, ove venga costituito, il Direttore lavori, da intendersi come organo monocratico, appare come il vero dominus. Si può pertanto ritenere, in linea generale, che l’Ufficio misto di direzione lavori formato da dipendenti dell’amministrazione e da professionisti esterni può essere costituito, in via residuale, quando ricorrono obiettive esigenze, secondo criteri di ragionevolezza e di coerenza con la normativa che disciplina la direzione lavori, in particolare nel rispetto sia del vincolo di subordinazione tra la funzione di DL e quella di direttore operativo e della conseguente gradazione di responsabilità all’interno dell’Ufficio di direzione dei lavori, sia del grado di professionalità tra i singoli componenti dell’ufficio stesso. Deliberazione dell’AVCP n. 90 del 26/10/2005.

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09 giugno 2011

ENTRATA IN VIGORE DEL NUOVO REGOLAMENTO

Con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento, avvenuta l’8 giugno 2011, si determinano modifiche significative della normativa ed in particolare, fatte salve le norme transitorie dell'art. 357:
- abrogazione totale del vecchio Regolamento sui Lavori Pubblici di cui al D.P.R. 554/1999;
- abrogazione totale del Regolamento sul sistema di qualificazione delle imprese di cui al D.P.R. 34/2000;
- abrogazione di parte del Capitolato generale d’appalto di cui al D.M. 145 / 2000;
- modifica della fase di aggiudicazione del contraente, la verifica e validazione dei progetti, alcuni passi sulla tenuta della contabilità e la redazione delle liste in economia.
Le tabelle con la corrispondenza degli articoli del nuovo Regolamento con quelli abrogati o sostituiti delle norme precedenti si possono trovare ai seguenti indirizzi internet:

- DPR 554/1999
- DPR 34/2000
- DM 145/2000
- articoli relativi alla contabilità lavori (articoli dal 178 al 214).

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08 giugno 2011

VERBALIZZAZIONE DI GARA

In tema di appalti, l’ unica verbalizzazione riferita a più sedute, non è di per sé illegittima a condizione che la verbalizzazione non contestuale segua il compimento delle attività rappresentate entro un termine ragionevolmente breve, tale da scongiurare gli effetti negativi della naturale tendenza alla dispersione degli elementi informativi; in ogni caso, sul giudicante grava sempre l’obbligo di verificare, previo esame della fattispecie concreta, se la verbalizzazione unica e differita abbia determinato un vulnus apprezzabile degli interessi in gioco.
Consiglio di Stato, sez. V, decisione 18.03.2010 n. 1589

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SERVIZI ANALOGHI

In materia di appalti pubblici, qualora nel bando di gara sia espressamente richiesto ai concorrenti di fornire la prova dello svolgimento di pregressi servizi analoghi a quello oggetto di gara, tale circostanza non permette di dilatare il concetto di analogia fino a ricomprendervi qualunque attività non assimilabile a quella oggetto dell’appalto stesso. In ogni caso, la previsione di elementi di valutazione dell’offerta tecnica di tipo soggettivo (concernenti la specifica attitudine del concorrente a realizzare lo specifico progetto oggetto di gara), può trovare giustificazione nella esigenza di acquisire conoscenza in merito ad aspetti dell’attività dell’impresa che possono essere utili ai fini della valutazione dell’offerta, in quanto le precedenti esperienze maturate possono rappresentare dei significativi indici della qualità delle prestazioni che l’impresa può garantire, a patto però che riguardino esperienze sufficientemente simili, almeno negli aspetti essenziali, a quelle oggetto della gara cui l’impresa partecipa. Consiglio di Stato, sez. V, decisione 15.10.2010 n. 7525

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06 giugno 2011

I CONTROLLI DI ACCETTAZIONE DEI PRINCIPALI MATERIALI DA COSTRUZIONE

Documentazione tratta dal sito dell’Ordine degli ingegneri di Genova.

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05 giugno 2011

PROGETTO ESECUTIVO E CANTIERIZZAZIONE

Il progetto esecutivo, in coerenza con i livelli di progettazione precedenti, deve necessariamente fornire una chiara rappresentazione, in relazione a qualunque opera da realizzare, di tutte le caratteristiche dimensionali e tipologiche e di ogni sua componente con un grado di definizione e di dettaglio che sia il maggiore possibile.
In tal senso l'art.35 del regolamento n.554/99 (ora art. 33 del nuovo Regolamento) definisce il progetto esecutivo come "la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni", con la conseguenza che esso di norma costituisce uno strumento operativo direttamente utilizzabile in cantiere per l'esecuzione dei lavori.
Fermo restando che i particolari costruttivi devono far parte del progetto esecutivo e non possono essere rinviati alla fase esecutiva e rimessi a carico dell'appaltatore, occorre tenere conto che taluni elementi costruttivi, non espressamente descritti nel progetto esecutivo, possono essere desunti dalla lettura coordinata del complesso degli elaborati; oppure una migliore definizione puo' aversi in corso d'opera a cura della direzione dei lavori. Altre volte si tratta di elementi non espressamente descritti, ma da dimensionare in sede di dettaglio costruttivo per gli inevitabili adattamenti di cantiere in concreto necessari.
Sulla base di quanto indicato non risulta oggi ammissibile prevedere a carico dell'impresa la possibile modifica del progetto ovvero l'assunzione della piena responsabilita' tecnica dell'esecuzione quale che sia la effettivita' esecutiva del progetto.
Inoltre, e' possibile prospettare che, in progetti caratterizzati da una notevole complessita' tecnica, anche in relazione alla articolata conformazione architettonica non modulare dell'opera ed in cui puo' sussistere un inevitabile margine di relativa approssimazione nella completezza della rappresentazione progettuale, ove non si ricorra a procedure diverse quale l'appalto concorso o l'appalto integrato, l'amministrazione - in base alla norma che attribuisce alla potesta' del direttore dei lavori di fornire in corso d'opera le istruzioni necessarie alla perfetta realizzazione anche mediante la risoluzione di aspetti di dettaglio in relazione a circostanze contingenti - possa prevedere, nell'atto di conferimento dell'incarico di progettazione a terzi, l'impegno del progettista a collaborare alle integrazioni di dettaglio che emergessero, secondo la direzione lavori, come necessarie in sede esecutiva.
Tutto cio' con il risultato di evitare maggiori oneri e di far rimanere il costo della progettazione e quello della esecuzione nei limiti originari.
In base a quanto ora precisato puo' chiarirsi il significato e la portata che assume la cosiddetta "cantierizzazione" che, eventualmente, venga indicata nel capitolato speciale di appalto e negli altri atti contrattuali come attivita' posta a carico dell'appaltatore.
La "cantierizzazione" e' un termine, ormai, di uso comune. Essa non puo' certo consistere nel completamento del progetto esecutivo il quale non deve, in base alle nuove norme, risultare tale da rendere necessari ulteriori livelli progettuali in senso proprio, ne' implicare attivita' progettuale destinata a colmare lacune eventualmente presenti nel progetto esecutivo, ma deve intendersi come produzione di quella documentazione che l'esecutore elabora per tradurre le indicazioni e scelte contenute nel progetto in istruzioni e piani operativi, cioe', l'attivita' propria dell'impresa che ha piena competenza nel determinare la organizzazione dei lavori.
Rientrano, pertanto, fra gli oneri ed i compiti a carico dell'appaltatore esclusivamente quelli relativi all'organizzazione delle attivita' costruttive e alle elaborazioni necessarie a ciascun operatore (tecnici, maestranze, fornitori) per assolvere ai propri compiti.
Nella pratica cio' si verifica, per esempio, nel caso di impiego di manufatti prefabbricati, prodotti in serie. Infatti, il progettista e' responsabile essenzialmente dell'organico inserimento e della previsione di utilizzazione dei manufatti (art.9, ultimo comma, della legge 5.11.1971, n.1086), mentre il relativo dimensionamento e calcolo rientra principalmente tra i compiti del produttore.
D'altra parte, la scelta delle ditte fornitrici dei prodotti prefabbricati deve essere riservata all'appaltatore e non puo' essere predefinita, se non violando le norme di mercato, e gli elaborati redatti in ragione delle caratteristiche specifiche del prodotto prefabbricato, sovente soggetto ad omologazione, sono appunto il frutto di attivita' di "cantierizzazione".
Anche nel caso delle forniture e posa in opera di macchine o parti di impianto, l'appaltatore redige elaborati di "cantierizzazione", in aggiunta a quelli progettuali, in relazione ai prodotti industriali prescelti sulla base delle specifiche tecniche previste nel progetto esecutivo; ad esempio, nel caso di impianti tecnologici, il compito del progettista e' quello di individuare le caratteristiche prestazionali dell'impianto ma non il marchio e le conseguenti specifiche condizioni di posa in opera che tengano conto delle esigenze di ingresso ed uscita delle canalizzazioni e dei collegamenti che determinano, in generale, anche la predisposizione degli alloggiamenti e dei fori nelle strutture e nelle pareti murarie.
Per le considerazioni svolte e' da ritenere che la "cantierizzazione" costituisca la redazione degli eventuali documenti di interfaccia tra il progetto e l'esecuzione, consentendo di coniugare le esigenze progettuali con quelle di realizzazione delle opere, nel rispetto dell'autonomia imprenditoriale dell'esecutore. In sostanza la stessa costituisce l'insieme di quelle attivita' e relativi documenti (piani operativi, piani di approvvigionamento e calcoli e grafici delle opere provvisionali) che l'art. 35 del D.P.R. 554/99 (ora art. 33 del nuovo Regolamento) non prevede facciano parte del progetto esecutivo. Determinazione n.4/2001 del 31/01/2001

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AFFIDAMENTO INCARICO DIREZIONE LAVORI - VALUTAZIONE ESPERIENZA PREGRESSA

E' vero che il divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell'offerta e i requisiti soggettivi dell'impresa concorrente conosce un'applicazione "attenuata" nel settore dei servizi, in quanto si ritiene che laddove l'offerta tecnica non consista in un progetto o in un prodotto ma si sostanzi invece in una attività, un facere, la stessa può essere valutata anche sulla base di criteri quali la pregressa esperienza e la professionalità emergenti da curricula professionali. Ma è anche vero che la possibilità di valutare, in sede di individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le pregresse esperienze professionali, incontra il limite del peso concretamente attribuibile in termini di punteggio a tali elementi (cfr. parere AVCP n. 97/2010).
In sostanza, l'apprezzamento del merito tecnico che è deducibile dalla specifica professionalità e dalla valutazione dei curricula professionali è solo uno degli elementi valutabili e, pertanto, non può assumere un rilievo eccessivo (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 2 ottobre 2009, n.6002; Cons. di Stato, sez.VI, 18 settembre 2009, n.5626; Cons. di Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n.3716; Cons di Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n.2770), come, invece, nel caso in questione nel quale si è previsto di assegnare 70 punti degli 80 disponibili, riservandone solo 10 alla valutazione delle caratteristiche dell’offerta metodologica. Parere dell’AVCP n. 73 del 21/4/2011.

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DIVIETO DI RAPPORTI PROFESSIONALI FRA DIRETTORE DEI LAVORI E APPALTATORE

Con la determinazione n. 4 del 12/2/2003 l’AVCP ha confermato il “divieto di rapporti professionali fra direttore dei lavori e appaltatore” sulla base dell’interpretazione estensiva dell'art. 17 comma 9, della legge 109/94 e s. m. (ora art. 90 comma 8 del Codice) nonche' degli artt. 8 comma 6 e 48 del d.P.R. 554/99 (ora art.10 comma 6 e Parte II Titolo II Capo II del Regolamento), che riguardano il divieto per il progettista incaricato e per gli affidatari dei servizi di supporto alla progettazione, di partecipare a procedure selettive per l'aggiudicazione dei lavori in relazione alla quale abbiano prestato le proprie attivita' professionali. Cio' non impedisce, pero', che nel passato fra progettista e aggiudicatario dei lavori ci possano essere stati rapporti di tipo professionali ne' che, per lavori diversi da quelli per i quali ha svolto l'attivita' di progettazione, ci possano essere in futuro rapporti professionali.
Rispetto alla problematica connessa all'attivita' di progettazione, la figura del direttore dei lavori solleva altre e diverse questioni che necessitano di approfondimenti per giungere a definire se e come opera il divieto di intrattenere, contestualmente all'incarico di direzione dei lavori, rapporti professionali con l'esecutore dei lavori.
Il direttore dei lavori per la realizzazione di un'opera pubblica e' il professionista, dotato di specifiche conoscenze tecniche ed idoneo titolo di studio, che nell'interesse del committente vigila sull'esecuzione dei lavori, emanando le disposizioni e gli ordini per assicurare la corrispondenza dell'opera stessa alle prescrizioni contrattuali e agli elaborati progettuali e sorvegliandone la buona riuscita. In considerazione dei compiti e delle funzioni che gli sono devolute, assume pertanto la veste di "agente" e deve ritenersi, quindi, funzionalmente e temporaneamente inserito nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione che gli ha conferito l'incarico, quale "organo tecnico straordinario".
La funzione autoritativa svolta dal direttore dei lavori impone che l'esplicazione del suo incarico sia preordinata, anche nel rispetto dei principi deontologici di lealta' e correttezza, esclusivamente alla salvaguardia dell'interesse pubblico ad ottenere una corretta realizzazione dell'opera, con il conseguente divieto di legami di cointeressenza tra il direttore dei lavori (vigilante) ed il soggetto esecutore dei lavori (vigilato).
Occorre, pertanto, verificare se e come opera il divieto di intrattenere, contestualmente all'incarico di direzione lavori, rapporti professionali con l'esecutore dei lavori.
Quando il direttore dei lavori e' un soggetto interno alla stazione appaltante sussiste il divieto di cui trattasi, in ragione dell'esclusivita' del rapporto di pubblico impiego con il conseguente divieto di assumere altro impiego od incarico per conto di soggetti diversi dall'ente pubblico datore di lavoro.
Nel caso in cui le funzioni di direttore dei lavori siano attribuite a soggetti esterni alla stazione appaltante la natura dell'attivita' di direzione dei lavori fa ritenere che vi e' un divieto assoluto di intrattenere rapporti professionali con l'appaltatore, in quanto e' necessario garantire che il direttore dei lavori effettivamente vigili sulla corretta esecuzione dell'opera nell'esclusivo interesse della P.A. committente, assicurando cosi' la massima trasparenza nella fase di esecuzione dei lavori.
Quanto all'operativita' temporale del divieto di svolgere attivita' professionali nell'interesse dell'appaltatore, si ritiene che esso debba riguardare il periodo compreso dall'aggiudicazione al collaudo.
Occorre a tal fine permettere al professionista, al momento di acquisire l'incarico di direttore dei lavori, di essere in condizione di valutare se l'incarico sia conveniente, tenuto conto dei vincoli che comporta nel rapporti con l'appaltatore. Pertanto, il divieto deve essere specificamente previsto nel bando di gara in quanto si tratta di regole per le quali non e' prevista espressa sanzione normativa e che, quindi, richiedono per la loro effettivita' impegni contrattualmente assunti.
Nel caso in cui al momento dell'aggiudicazione siano gia' in essere rapporti professionali tra il direttore dei lavori e l'appaltatore, occorre prevedere, anche questo nel bando di gara, che, una volta conosciuta l'identita' dell'aggiudicatario, il direttore dei lavori segnali l'esistenza di tali rapporti alla stazione appaltante alla cui valutazione discrezionale e' rimesso l'esame della sostanziale incidenza dei suddetti rapporti in correlazione all'incarico da svolgere.
In base alle suddette considerazioni l'Autorita' e' dell'avviso che:
a) ai sensi del combinato disposto di cui all'articolo 17, comma 9, della legge 11 febbraio 1994, n.109 e s. m. (ora art. 90 comma 8 del Codice) e agli articoli 8 e 48 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n.554 e s.m., (ora art.10 e Parte II Titolo II Capo II del Regolamento), opera per il progettista incaricato e per gli affidatari dei servizi di supporto alla progettazione il divieto di partecipare alle procedure selettive per l'aggiudicazione dei lavori in relazione alla quale abbiano prestato le proprie attivita' professionali;
b) all'affidatario dell'incarico di direzione lavori e' precluso, dal momento dell'aggiudicazione e fino al collaudo, accettare nuovi incarichi professionali dall'appaltatore;
c) il direttore dei lavori, una volta conosciuta l'identita' dell'aggiudicatario e abbia in essere rapporti professionali con questo, ne deve segnalare l'esistenza alla stazione appaltante alla cui valutazione discrezionale e' rimesso l'esame della sostanziale incidenza di detti rapporti sull'incarico da svolgere;
d) le disposizioni di cui alle precedenti lettere b) e c) devono essere previste nei bandi di gara relativi all'affidamento delle attivita' di direzione dei lavori in quanto si tratta di regole per le quali non e' prevista espressa sanzione normativa e che, quindi, richiedono per la loro effettivita' impegni contrattualmente assunti.

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IL DIRETTORE DEI LAVORI È UN ORGANO MONOCRATICO

L’AVCP ha ripetutamente chiarito che il direttore dei lavori deve identificarsi in un soggetto fisicamente unico, eventualmente coadiuvato da uno o più assistenti che costituiscono l’Ufficio di direzione lavori, in quanto tale è la prescrizione della normativa. Si richiamano le seguenti deliberazioni:
Deliberazione n. 55 del 25/05/2005. Contrasta con il dettato normativo dell’art. 123 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m. (ora art. 147 del Regolamento) l’operato della stazione appaltante che procede alla nomina di più direttori dei lavori per lo stesso intervento.
Deliberazione n. 23 del 02/03/2005. Dal disposto di cui all’art. 27 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m. (ora art. 130 del Codice) si ricava l’intenzione del legislatore di assegnare ad un solo soggetto, e non ad un organo collegiale, la responsabilità diretta della direzione dei lavori di un’opera pubblica, eventualmente coadiuvato, come previsto dall’art. 123 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m. “in relazione alla dimensione e alla tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti con funzioni di direttore operativo o di ispettore di cantiere”.
Deliberazione n. 156 del 14/10/2004. La nomina di più Direttori lavori è in contrasto con l’art. 27 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m. (ora art. 130 del Codice) e con gli artt. 123 e 124 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m., (ora artt. 147 e 148 del Regolamento) i quali stabiliscono che l’ufficio di direzione lavori è costituito da un direttore dei lavori ed, eventualmente, da uno o più assistenti con funzione di direttore operativo o di ispettore di cantiere. Ne consegue che il direttore dei lavori è un organo monocratico ancorché nell’esercizio delle sue funzioni abbia la facoltà di avvalersi di collaboratori.
Deliberazione n. 321 del 17/12/2003. L’affidamento dell’incarico di direzione dei lavori per uno stesso intervento contemporaneamente a più tecnici non è conforme all’art. 123 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m., (ora art. 147 del Regolamento) che prevede la nomina di un unico direttore lavori, coadiuvato eventualmente, in relazione alla dimensione e alla tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti con funzioni di direttore operativo o di ispettore di cantiere. La suddetta disposizione evidenzia, infatti, la volontà di assegnare ad un solo soggetto e non ad un organo collegiale la responsabilità diretta della direzione di un’opera pubblica.
Deliberazione n. 61 del 02/04/2003. L’affidamento dell’incarico congiunto di direttore dei lavori non è conforme al principio dell’unicità ed unisoggettività di detto incarico, insito nelle disposizioni di cui agli artt. 123 e ss. del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m., (ora art. 147 del Regolamento) la cui ratio è rappresentata dall’opportunità di concentrare l’adozione degli atti di competenza del direttore dei lavori in capo ad un unico soggetto, ai fini di certezza e celerità dell’azione amministrativa. E’, tuttavia, contemplata la possibilità, in relazione alla dimensione e alla tipologia e categoria dell’intervento, di nominare uno o più assistenti con funzioni di direttore operativo o di ispettore di cantiere, che svolgano funzioni di supporto.
Deliberazione n. 86 del 27/03/2002. Contrasta con l'art.123 del D.P.R.21 dicembre 1999, n.554 e s.m., (ora art. 147 del Regolamento) l'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori a più professionisti per uno stesso intervento.
Deliberazione n. 85 del 27/03/2002. Contrasta con l'art.123 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n.554 e s.m., (ora art. 147 del Regolamento) l'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori a più professionisti per uno stesso intervento.
Deliberazione n. 314 del 26/09/2001. L'art.27 della legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m., (ora art. 130 del Codice) laddove statuisce l'obbligo, per le amministrazioni aggiudicatici, di istituire un ufficio di direzione lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da suoi assistenti, va inteso nel senso che l'incarico di direzione stesso non può essere affidato ad un gruppo di professionisti. Il direttore dei lavori, in possesso dei requisiti richiesti, svolge anche le funzioni di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione. Nel caso in cui il direttore dei lavori non sia in possesso dei requisiti per svolgere le funzioni di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, esse vengono svolte da un direttore operativo appositamente nominato.
Deliberazione n. 267 del 19/07/2001. L'incarico di direzione lavori non può essere affidato congiuntamente a più professionisti, ricadendo la responsabilità diretta della direzione lavori in capo ad un solo soggetto.
Deliberazione n. 256 del 04/07/2001. Non è conforme al disposto dell'art.27 della legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m., (ora art. 130 del Codice) prevedere ripartizioni delle funzioni e competenze dell'incarico di direzione dei lavori fra più soggetti, in quanto detta funzione richiede l'imputabilità ad un unico soggetto delle responsabilità derivanti dall'esercizio della funzione stessa.

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02 giugno 2011

STABILIZZAZIONE A CALCE E CEMENTO

Le stabilizzazioni a cemento e/o calce fanno parte delle attività di riciclaggio e vengono realizzate con gli stessi macchinari utilizzati per il riciclaggio a freddo con bitume schiumato: lo scopo di questo tipo di interventi è quello di migliorare le caratteristiche meccaniche dei materiali che dimostrano scarse qualità per l’utilizzo a cui sarebbero destinati.
La tecnica della stabilizzazione a calce viene utilizzata per conferire alle terre incoerenti o scarsamente portanti, un miglioramento delle caratteristiche meccaniche sfruttando l’interazione delle particelle umide dell’argilla con la calce; lo sviluppo della reazione di idratazione della calce porta ad un indurimento dell’impasto e perciò ad un incremento delle capacità portanti del piano trattato.
Il campo di applicazione è molto esteso: con la stabilizzazione a calce si interviene per migliorare le condizioni di strade di campagna, le capacità portanti dei piani di posa dei rilevati stradali, le bonifiche di aree destinate ad urbanizzazioni e a nuove costruzioni.
La tecnica della stabilizzazione a cemento viene invece utilizzata per migliorare le capacità portanti di fondazioni stradali aventi una stabilità compromessa in seguito a profonde deformazioni della sovrastruttura stradale o più in generale per migliorare la classificazione di materiali (a esempio attraverso la miscelazione con una adeguata percentuale di cemento si può portare un materiale A2/4 a raggiungere le prestazioni di un materiale A1); attraverso questa applicazione è possibile realizzare in sito un prodotto addirittura superiore ai Misti Cementati che ormai da anni vengono prescritti come fondazione nelle strade ad elevato traffico pesante.
Va sottolineato che l’utilizzo di una tecnica non esclude l’altra : se un materiale da stabilizzare a cemento possiede una certa quantità di particelle limo-argillose può essere utile combinare all’azione del cemento anche un dosaggio di calce; molti progetti di risanamento stradale prevedono la stabilizzazione a calce dei piani di posa e successivamente il recupero dei materiali asportati che vengono riposizionati nella trincea di scavo e stabilizzati a cemento per formare una nuova fondazione stradale.
La stabilizzazione delle terre con calce e/o cemento necessita di uno studio preliminare in laboratorio al fine di poter definire il quantitativo ottimale di calce e/o cemento da miscelare con il materiale presente in sito e la percentuale ottimale di acqua da aggiungere in fase di miscelazione.

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